Virgilio Giotti, nato il 15 gennaio 1885 a Trieste, è il maggior poeta in dialetto triestino, premiato nel 1957 dall’Accademia dei Lincei. Dal 1907 al 1919 vive a Firenze, dov’era fuggito per evitare il servizio militare sotto l’Austria; nel 1912 conosce la sua compagna, Nina Schekotoff e rimarranno insieme per tutta la vita. In Toscana avrà i tre figli; Natalia, detta Tanda, nel 1913 e poi Paolo e Franco (1915 e 1919), che moriranno durante la seconda guerra mondiale in Russia. Conosce i fratelli Stuparich, Scipio Slataper e Biagio Marin. Nel 1920 ritorna a Trieste e va ad abitare in Via Lamarmora dove vi rimarrà fino alla morte. Lavora prima come edicolante in Cittavecchia e in seguito come impiegato presso l’ospedale Maggiore. Muore a Trieste il 21 settembre 1957. Il poeta scriveva in dialetto ma parlava in un italiano toscanizzante. A chi gli chiedeva perché non usasse abitualmente il dialetto rispondeva: – Ma come, lei vuole che usi per i rapporti di ogni giorno la lingua della poesia?! Esordisce a Firenze con il “Piccolo canzoniere in dialetto triestino” nel 1914. Nel canzoniere c’è già tutto il suo mondo. Giotti ricorre ad un vocabolario estremamente povero e comune. La Trieste di Giotti è lontanissima da quella di Svevo, di Saba e degli altri scrittori giuliani. Non c’è il porto, non c’è la psicoanalisi, non c’è la mitteleuropea. Giotti volge la sua triestinità in qualcosa che non è né realismo né folclore ma un puro fatto linguistico e sentimentale, uno sfondo per una poesia di elevata tensione lirica. Giotti riduce Trieste ai sobborghi e i sobborghi alla cerchia degli affetti domestici. Il titolo della sua poesia “Il mio cuore e la mia casa” suona come il perfetto titolo del suo mondo.