Carlo Stuparich, nato a Trieste il 3 agosto del 1894, dopo gli studi primari e secondari nella città natale, seguì nel 1913 il fratello Giani a Firenze dove rimase fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Arruolatosi volontario come ufficiale dei granatieri nell’esercito italiano, con Giani e con l’amico inseparabile Scipio Slataper partecipò a diverse azioni belliche nella zona di Monfalcone e di Asiago. Qui, sulle falde del Monte Cengio,  fu circondato dal nemico e, per non cadere nelle sue mani, si uccise il 30 maggio del 1916. L’attività letteraria e intellettuale di Carlo Stuparich si racchiude in un brevissimo arco di tempo – dal 1911 al 1916 – ma sufficiente perché si rivelasse un talento eccezionale di scrittore e di pensatore che lo avrebbe fatto conoscere ed imporre tra le personalità più significative del nutrito gruppo di intellettuali triestini che si trovarono a Firenze e che contribuirono ampiamente a dare sostanza e nerbo a quella fucina di idee e di proposte che fu la prezzoliniana “Voce”. Ma la figura di Carlo Stuparich è stata sempre lasciata sfocarsi in una ingiustificata marginalità rispetto all’ampia divulgazione dell’opera del fratello Giani. Certo l’opera di Carlo è esile, abbozzata, frammentaria giacché è l’opera di un giovane scomparso a nemmeno 23 anni ma già così profonda, così acuta, così penetrante nei suoi giudizi e nelle sue osservazioni da parere stupefacente in una mente quasi ancora fanciullesca ma di una precocità e di una maturità sorprendenti. Introvabili già da tempo i suoi scritti anche sul mercato antiquario – non solo la mitica prima edizione che fu curata dal fratello Giani per i tipi de “La Voce” nel 1919 ma pure le successive due del 1933 e 1968 – una riproposta di essi si trova nel quinto volumetto della “Bibliotechina” con un’ampia scelta di pagine tratte dal libro di Carlo, Cose e ombre di uno, curate e annotate da Fulvio Salimbeni.